Come accogliere la disabilità

Quali sono gli aiuti a disposizione dei genitori italiani per affrontare una disabilità in famiglia

Come accogliere la disabilità

Quali sono gli aiuti a disposizione dei genitori italiani per affrontare una disabilità in famiglia

Stare bene a livello fisico e mentale è un requisito fondamentale affinché i genitori siano in grado di accudire il proprio figlio, ancor di più se a quest’ultimo viene diagnosticata una qualsiasi forma di disabilità.
Per parlare di questo argomento, WimedYou ha intervistato Fabio Franciosi, psicologo e psicoterapeuta in forze presso l’Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia e Adolescenza (Asl Toscana Nord Ovest, Pisa) nel reparto di neuropsichiatria, esperto di disturbi del neurosviluppo e autismo, che afferma:

«La nascita di un bambino disabile è un evento potenzialmente disadattivo per i genitori e richiede una riorganizzazione di tutto il sistema familiare».

Le fasi della genitorialità

«Durante la gravidanza i genitori iniziano a fantasticare sulla vita del figlio; purtroppo, però, questi progetti devono essere rielaborati sulla base delle effettive abilità del bambino».

Questa condizione provoca una perdita che, nella ricerca e letteratura di settore, viene declinata in tre fasi della genitorialità:

  1. un periodo di shock e dolore iniziale, in cui i sentimenti predominanti sono rabbia e colpevolizzazione reciproca tra i genitori o nei confronti degli specialisti
  2. l’elaborazione del lutto
  3. l’elaborazione di un nuovo progetto di vita, che può emergere solo se i genitori riescono a trovare un nuovo riadattamento

«Se non si supera lo shock iniziale, viene compromesso sia il rapporto tra i coniugi – è altissima l’incidenza di separazioni entro il primo anno di vita del bambino – sia il legame con il figlio. Possibili reazioni sono la negazione della realtà o l’iperprotezione del figlio».

A tal proposito, esistono delle variabili che incidono sul superamento della prima fase:

  • le caratteristiche personologiche dei genitori, come ad esempio la loro capacità di reagire ai problemi della vita
  • la gravità della sintomatologia
  • il supporto intra familiare di nonni, parenti e fratelli
  • il supporto sociale di specialisti, personale scolastico e associazioni territoriali

 

Le fasi di sviluppo

A parte lo shock iniziale, nei primi mesi la vita del bambino con disabilità è simile a quella di un bambino normodotato perché si tratta sempre di persone totalmente dipendenti dai genitori. L’unica differenza è la necessità dei genitori di informarsi e diventare esperti della patologia diagnosticata.

«La forbice si allarga a partire dall’inserimento a scuola per l’impatto della presenza di insegnanti di sostegno, della difficoltà del bambino a condividere con i suoi compagni l’esperienza scolastica, dei programmi didattici diversificati, della difficoltà di partecipazione ad attività ricreative condivise».

Una condizione di potenziale isolamento che può protrarsi anche durante l’adolescenza e alla fine dei cicli di scuola.

«I genitori possono sentirsi impotenti e non saper come affrontare le tematiche tipiche delle varie fasi evolutive, come l’affettività e la sessualità, la riorganizzazione nella fase adulta, il lavoro. Inoltre, sono poche le realtà imprenditoriali in grado di assorbire persone con disabilità, specie se presentano comportamenti-problema che non consentono alla persona di svolgere la mansione e di rapportarsi con i colleghi. La persona disabile adulta spesso continuerà a vivere nella famiglia di origine».

I ruoli in famiglia

«Lo stress in famiglia è dovuto allo stravolgimento dei ritmi quotidiani e alle difficoltà delle fasi di vita, ma anche a una mancata suddivisione dei compiti o a un rapporto di coppia instabile. È importante specificarlo perché spesso i ruoli della madre e del padre sono ancora troppo differenti, nonostante le evoluzioni sociali degli ultimi anni».

Franciosi fa riferimento al fatto che spesso è la donna a rinunciare alla propria vita professionale per l’accudimento del figlio, cosa che può provocare calo dell’autostima, senso di frustrazione, rabbia; l’uomo, invece, è ancora colui che si occupa della stabilità economica in casa, e la sua assenza lo pone più a rischio per lo sviluppo di solidi legami affettivi col figlio.

«Attenzione anche ai siblings, ossia i fratelli di figli disabili, perché sono molto più a rischio di disadattamento e sofferenza psicologica dei coetanei, a volte per la deprivazione di cure parentali, altre per una precoce spinta alla crescita».

È qui che diventa fondamentale la figura dello psicologo, il quale ha il compito di facilitare la comunicazione tra i coniugi, aiutandoli a trovare dei sistemi psicoeducativi alternativi.

«Solitamente il genitore interpreta il suo ruolo attingendo intuitivamente all’educazione ricevuta. Quando ci si rapporta con una persona con disabilità intellettiva, bisogna comprenderne il funzionamento “divergente” e agire con strumenti, metodologie e strategie differenti. Questo consente di migliorare la qualità della vita dell’intero sistema familiare».

L’altra faccia della medaglia

Avere una persona con disabilità in famiglia, però, significa anche poter sviluppare competenze che magari in altro modo non si avrebbe avuto occasione di potenziare:

  • capacità di decision making
  • problem solving
  • abilità di contrattazione e negoziazione, che possono aumentare il senso di autoefficacia e far raggiungere una maggiore coesività e supporto reciproco tra i coniugi
  • visione della vita basata su piccoli progressi e obiettivi

Per ultimo, il superamento delle fasi critiche può fornire ai genitori l’opportunità di entrare in contatto profondo con il figlio al di là della sua disabilità, con la persona che è, il suo temperamento, i suoi bisogni e talenti.

Fabio Franciosi

Psicologo psicoterapeuta

Ufsmia Asl Toscana Nord Ovest Pisa

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