Se nel 2010 la tendenza era quella di bere alcol fuori pasto del binge drinking (abbuffata di alcol), dal 2018 c’è stata un’inversione di tendenza. A fronte della riduzione del binge drinking o del bere fuori pasto, aumenta però il consumo abituale elevato. Abitudine che si conferma, e anzi si è accentuata durante la pandemia.
L’attenzione degli operatori sanitari al problema dell’abuso di alcol appare ancora troppo bassa: appena il 7% dei consumatori a “maggior rischio” riferisce di aver ricevuto il consiglio di bere meno.
1. Quando si può definire il consumo di alcol a “basso rischio”?
Le nuove indicazioni italiane definiscono a basso rischio un consumo di:
1 unità alcolica corrisponde a 12 grammi di alcol puro ed equivale a:
Ogni unità alcolica consumata apporta mediamente 70 kcal, prive di qualsiasi contenuto nutritivo se non il potere calorico, di cui bisogna tenere conto, anche in vista del crescente aumento di eccedenza ponderale.
Le quantità sopra riportate sono compatibili con un consumo a basso rischio solo se:
Oltre alle quantità assunte, è importante considerare la modalità di assunzione delle bevande alcoliche, che contribuisce ad innalzare i rischi per la salute e i rischi sociali, come:
In alcune categorie e condizioni, l’assunzione di alcol raccomandata è pari a ZERO:
Se si è astemi è bene continuare a non assumere bevande alcoliche, perché non esiste un consumo di alcol esente da rischi per la salute.
2. Quali sono i principali rischi legati al consumo di alcol?
Il consumo cronico di alcol, soprattutto se in grandi quantità, può provocare gravi squilibri nutritivi e rischio di malnutrizione, che amplificano la tossicità dell’etanolo sui vari apparati:
3. Consumo di alcol e farmaci, come comportarsi?
Importanti sono le interferenze tra l’alcol e molti farmaci, che possono provocare reazioni indesiderate, a volte anche gravissime. Allo stesso tempo l’alcol può ridurre o potenziare gli effetti dei principi attivi.
Molti farmaci vengono metabolizzati nel fegato dagli stessi enzimi che metabolizzano l’alcol; questo comporta un duplice rischio:
Anna Menasci
Dietista, specializzata in nutrizione nelle malattie renali, dialisi e diabete 1-2. Eroga consulenze nutrizionali per il dimagrimento e si occupa dell’educazione alimentare di bambini e donne in gravidanza. È Consigliere Commissione d’Albo Dietista Ordine TSRM PSTRP PI-LI-GR.
La normativa di settore (Direttiva 2002/46/CE, attuata con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169) definisce gli integratori alimentari come “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta. Costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”. Si presentano infatti sotto forma di capsule, compresse, bustine, flaconcini e simili.
1. Quali sono i principali effetti sul nostro organismo?
Contribuiscono al benessere ottimizzando lo stato o favorendo la normale funzione dell’organismo. In caso di carenze alimentari hanno un’azione integrativa (e non curativa) nella dieta quotidiana. Questo significa che non possono sostituire una dieta sana ed equilibrata che fornisce tutti i macro e micronutrienti necessari.
Altro aspetto da considerare è la loro composizione: si tratta di prodotti le cui sostanze, pur essendo naturali, sono concentrate ed è quindi opportuno rispettare i limiti di assunzione raccomandati e indicati sull’etichetta, oltre a consultare sempre il proprio medico curante.
2. In quali condizioni è opportuno assumere integratori alimentari?
Gli integratori nascono appunto per sopperire alle carenze di sostanze che non sono facilmente ricavabili nella dose sufficiente dalla dieta quotidiana. Una condizione che interessa soprattutto persone in determinate fasce d’età, o in condizioni fisiologiche, patologiche e regimi dietetici. Tra queste ci sono:
3. Gli integratori alimentari aiutano a migliorare la performance sportiva?
La risposta è no. Secondo le linee guida solo una corretta alimentazione può influire sul rendimento dell’attività fisica e solo in rari e selezionati casi è prevista l’indicazione all’integrazione; il loro utilizzo è quindi ingiustificato e potenzialmente dannoso.
Lo stesso discorso vale per gli integratori coadiuvanti delle diete ipocaloriche per il controllo e/o riduzione del peso, ideati per rimpiazzare completamente i pasti giornalieri. Il Ministero della Salute raccomanda di consultare il proprio medico prima di un eventuale utilizzo e di non superare mai il tempo di trattamento di 3 settimane.
Anna Menasci
Dietista, specializzata in nutrizione nelle malattie renali, dialisi e diabete 1-2. Eroga consulenze nutrizionali per il dimagrimento e si occupa dell’educazione alimentare di bambini e donne in gravidanza. È Consigliere Commissione d’Albo Dietista Ordine TSRM PSTRP PI-LI-GR.