Disabilità in terza età, le linee guida

Come affrontare dal punto di vista psicologico l’avanzare dell’età quando si ha una disabilità fisica e/o cognitiva

Disabilità in terza età, le linee guida

Come affrontare dal punto di vista psicologico l’avanzare dell’età quando si ha una disabilità fisica e/o cognitiva

Il tema dell’invecchiamento di una persona con disabilità intellettiva è relativamente recente. Basti pensare solo che nel 1929 l’aspettativa di vita media di un individuo con sindrome di Down era di nove anni, mentre ora in Italia è di circa sessantatré anni. Una condizione frutto di un netto miglioramento delle cure sanitarie ma anche dell’attivazione di servizi e politiche che hanno favorito una maggiore inclusione rispetto al passato.

Quando si parla di invecchiamenti però è importante distinguere quello età correlato da quello patologico. L’avanzare dell’età in generale porta a dei cambiamenti del funzionamento fisico e cognitivo. Esse si vanno ad aggiungere alla condizione pregressa e/o alle differenze genetiche in caso di disabilità intellettiva. La situazione poi si complica ulteriormente se si aggiungono anche nuove condizioni croniche, come le demenze.

Come affrontare quindi questo cambiamento dal punto di vista psicologico?

Sapendo accettare e adattarsi ai cambiamenti fisici e cerebrali del nostro organismo. Bisogna focalizzarsi sugli aspetti positivi, non su quelli negativi. In terza età, ad esempio, diventa meno efficiente la memoria di lavoro a favore di una maggiore efficacia della memoria a lungo termine legata all’esperienza.

Se non si modificano i comportamenti per seguire la normale evoluzione del corpo e delle nostre funzioni cognitive c’è il rischio di un disallineamento tra le richieste dell’ambiente e le proprie capacità di risposta. Con il tempo, la persona potrà tendere a isolarsi per evitare il fallimento, problema da non sottovalutare. Perché? Le ricerche indicano che in terza età le persone tendono già a diminuire il numero di contatti prediligendo quelli con più valenza emotiva.

In questo contesto, è dimostrato come l’attività motoria e la stimolazione di risposte sensoriali favoriscono la massima attivazione cerebrale andando incontro a benefici fisici, cognitivi ma anche emotivi. Ancora meglio se le si fa in compagnia e in ambienti naturali.

Un suggerimento che vale per tutte le età: non bisogna pensare all’avanzare degli anni come a una patologia, ma a una tappa della vita che se viene vissuta in maniera adeguata può portare a un invecchiamento di successo.

Questa è una linea di pensiero che è importante venga condivisa sia tra le persone con disabilità, che vivono questa fase, ma anche chi gli sta vicino. Quest’ultimi devono avere un minimo di conoscenza sulle normali condizioni di invecchiamento così da tarare le richieste sulla base di ciò che l’anziano è davvero in grado di fare. Tra gli esempi più comuni abbiamo: evitare iper stimolazioni e lasciare in libertà di scelta soprattutto se la persona non è autosufficiente.

TG copia

Tiziano Gomiero

Pedagogista e Psicologo, Coordinatore Project DAD (Down Alzheimer Disease) di ANFFAS Trentino con progetti di ricerca internazionali nell’ambito dei Disturbi del neurosviluppo, invecchiamento e demenze, membro del comitato etico e ricerca (CER) dell’Università di Trento ed è stato fino al 2021 membro del onsiglio Direttivo Alzheimer Trento. Formatore e consulente nella progettazione per Nuclei Alzheimer e Nuclei demenze Gravi.

T.GOMIERO@anffas.tn.it

www.anffas.tn.it

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