Lo stato di salute rappresenta sicuramente la condizione imprescindibile per potersi attivare in età anziana. L’allungamento delle prospettive di vita, il miglioramento della sua qualità e la forte caduta della natalità hanno portato a un aumento considerevole dei cosiddetti “Silver”, gli over65 che in Italia rappresentano il 23,5% della popolazione totale (13,9 milioni di persone secondo i dati Istat, gennaio 2021). Tra questi, rientrano anche persone ancora capaci e desiderose di mettere al servizio della comunità le loro competenze professionali e personali. Come fare?
È necessario un cambiamento culturale, economico e anche sociale così da offrire all’anziano le condizioni giuste per dare il suo contributo, garantendo benefici sia a livello individuale che collettivo. Proprio da qui nasce il concetto di invecchiamento attivo, termine coniato nel 2002 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per definire “il processo di ottimizzazione delle opportunità per la salute, la partecipazione e la sicurezza al fine di migliorare la qualità della vita man mano che le persone invecchiano”.
Un concetto multidimensionale, che prende in considerazione: il benessere fisico, mentale e sociale della persona anziana; la partecipazione, ovvero le diverse attività svolte a livello sociale, economico, culturale e civile (oltre alla forza lavoro); la sicurezza, legata all’ambiente fisico, sociale ma anche dal punto di vista economico.
Approfondisce meglio il tema Andrea Principi, sociologo specializzato sulla tematica dell’invecchiamento attivo, che svolge attività di ricerca al Centro Ricerche Economico-Sociali per l’Invecchiamento dell’IRCCS INRCA (Istituto Nazionale di Riposo e Cura per l’Anziano), l’unico IRCCS in Italia che si caratterizza per la vocazione geriatrica e gerontologica.
«Questo è stato il primo grande passo verso una diversa concezione dell’età anziana, intesa non più come una fase della vita caratterizzata solo da bisogni di assistenza e marginalità sociale, ma anche dal poter avere ancora un ruolo da protagonista all’interno della società. Alla base dell’impegno nei confronti della comunità, però, ci dev’essere la libertà di scelta. La persona anziana infatti non dev’essere certo costretta a invecchiare attivamente, ma deve essergli fornita la più vasta gamma di opportunità a livello di policy making, e deve essere informata sulle diverse possibilità di impiego e sui benefici derivanti dall’invecchiamento attivo, con adeguate campagne di promozione. Poi spetta a lei decidere se invecchiare in modo attivo o meno, ed eventualmente come, in base alla sua motivazione e aspirazione personale».
Condivide lo stesso pensiero anche Ezio Chiodini, giornalista specializzato su tematiche inerenti la terza età, il quale però aggiunge:
«Per raggiungere questo obiettivo è necessario abbattere quelle barriere culturali e sociali che persistono nel nostro Paese e che portano a vedere l’anziano attivo come una minaccia per le nuove generazioni in quanto toglie loro spazio, ad esempio, nel mercato del lavoro. Al contrario, il loro coinvolgimento può portare a generare di nuovo un rapporto intergenerazionale basato sulla collaborazione, partecipazione e coinvolgimento, con conseguenze positive sullo sviluppo della società».
L’impegno politico
Lo sanno bene i principali organismi internazionali ed europei che negli ultimi vent’anni hanno messo al centro delle proprie politiche la promozione dell’invecchiamento attivo. Tra le attività più rilevanti:
«Si tratta di uno strumento quantitativo da usare per fini statistici – spiega Principi – realizzato dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (Unece) e dalla Commissione Europea. Viene usato per misurare le potenzialità della popolazione anziana di invecchiare attivamente e in salute in un determinato contesto geografico, misurando il grado in cui le persone anziane conducono una vita indipendente, partecipano al mercato del lavoro, alle attività sociali, e la loro capacità di mantenersi attive». (Guarda la tabella)
Il caso Italia
L’IRCCS INRCA ha adattato l’AAI al contesto italiano utilizzando microdati ISTAT, e quindi condotto analisi per Regione e genere (leggi il box).
«Esaminando i diversi indicatori – racconta Principi – abbiamo individuato gruppi di regioni che hanno registrato risultati simili tra loro: con questo studio però non si vuole definire le aree in cui sono state attuate migliori o peggiori politiche per la popolazione Silver, ma i risultati possono servire a stabilire nuovi obiettivi politici, sulla base di scelte eventualmente da compiere nei vari territori».
Una ricerca svolta nell’ambito del Progetto di coordinamento nazionale partecipato multilivello delle politiche sull’invecchiamento attivo, avviato nel 2019 e tutt’ora in corso, che è regolato da due accordi triennali tra la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia e l’IRCCS INRCA. Il progetto coinvolge una larga rete di stakeholder istituzionali, accademici e rappresentanti della società civile, al fine di creare, avviare e consolidare un coordinamento nazionale in tal senso.
«Dopo una prima fase dedicata all’analisi dello stato delle politiche sull’invecchiamento attivo a livello nazionale e regionale sono state elaborate delle raccomandazioni per favorire il policy making e l’implementazione delle politiche in questo ambito. Quindi, in ogni amministrazione, sono state individuate, sempre in maniera partecipata, una o più possibili aree di intervento, partendo dallo stato dell’arte esistente nei vari contesti, applicando le raccomandazioni prodotte. Attualmente stiamo organizzando una serie conferenze regionali per accompagnare le istituzioni al cambiamento».
Negli ultimi anni sono stati quindi molti i passi avanti fatti dal nostro Paese. È recente anche l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri dello Schema di legge delega in materia di politiche in favore delle persone anziane in cui per la prima volta è presente una parte dedicata all’invecchiamento attivo, concetto che quindi verrà regolato anche a livello nazionale e non più solo in ambito regionale.
La dimensione locale
Se Principi analizza il contesto nazionale, Ezio Chiodini si concentra sul ruolo delle amministrazioni locali. Collabora al progetto “Collaboratori civici” presentato da Itinerari Previdenziali, realtà che svolge attività di ricerca, formazione e informazione in ambito welfare per sviluppare la cultura previdenziale e socio-economica del Paese. Di cosa si tratta?
«È un progetto che consente alle persone anziane di mettere a disposizione della comunità il proprio capitale umano. Come? Attraverso la costituzione di “case di quartiere”, ovvero delle cooperative sociali in cui i Silver possono offrire una serie di servizi gratuiti alla comunità mettendo in campo la propria esperienza, professionalità e competenza. Un vero e proprio strumento di inclusione e partecipazione, e non solo di aiuto, per tutta la popolazione, una “casa” del fare e non dell’assistenza».
Sociologo di IRCCS INRCA
Giornalista e collaboratore
di Itinerari Previdenziali
I risultati ottenuti dagli studi realizzati da IRCCS INRCA applicando l’indice di invecchiamento attivo in Italia, mostrano un Paese diviso in cinque macro aree:
Ma quali sono nel dettaglio i valori presi in considerazione? Lo spiega meglio Principi:
«Abbiamo realizzato un’analisi cluster tra regioni basandosi sulla media dei quattro valori di dominio dell’indice, ovvero occupazione, partecipazione nella società, vita indipendente in salute e in sicurezza, capacità e fattori ambientali per l’invecchiamento attivo».
Attraverso un secondo studio, si sono esplorate le differenze di genere, con il risultato generale che nelle regioni con un elevato valore dell’AAI è elevato c’è una minore differenza tra uomo e donna, in termini di invecchiamento attivo.